La comunità marocchina in Italia. Un ponte sul Mediterraneo

sabato 8 febbraio 20140 commenti

La comunità marocchina in Italia. Un ponte sul Mediterraneo

Edizioni IDOS, Roma dicembre 2013, testo bilingue (italiano e francese)

Ricerca condotta del Centro Studi e Ricerche IDOS/Immigrazione Dossier Statistico per il Ministero dei marocchini all’estero

Questo volume è frutto di una iniziativa marocchina ideata in una prospettiva bilaterale. Alla sua origine si pone il Ministero di Rabat incaricato della comunità marocchina all’estero, che ha commissionato la ricerca al Centro Studi e Ricerche IDOS, mentre l’Ambasciata del Marocco si è fatta carico della stampa. L’obiettivo è stato quello di analizzare in maniera dettagliata il volto poco conosciuto della comunità marocchina insediata in Italia, fornendo notizie ulteriori al paese di origine e allo stesso paese di accoglienza.
Secondo stime, sono circa 3 milioni i marocchini presenti nell’Unione, la comunità più numerosa dopo quella turca: 300mila nei Paesi Bassi, oltre mezzo milione in Italia e in Spagna, il doppio in Francia. L’Italia si segnala perché i flussi hanno continuato a essere consistenti anche negli ultimi anni, mentre alla Francia spetta il primato nella concessione della cittadinanza. I marocchini sono gli immigrati non comunitari più numerosi in Italia, Spagna e Belgio, mentre si collocano al secondo posto in Francia, nei Paesi Bassi e in Germania.
L’immigrazione marocchina nel “Bel Paese” ha inizio negli anni ’70, quelli delle incipienti restrizioni nelle politiche migratorie degli altri Stati membri, e è diventata più consistente negli anni ’80 e, specialmente, nei due decenni successivi: nel 2001 i soggiornanti marocchini erano solo 167.334 e quelli residenti circa 13mila in più. Il forte aumento è intervenuto nonostante la ridotta espansione dell’economia italiana (aumento di appena 8 punti percentuali del PIL tra il 1992 e il 2012, al netto degli 8 punti percentuali di PIL persi durante la crisi dal 2008 al 2012), e il numero triplicato sta a indicare il fabbisogno strutturale di lavoratori in provenienza dall’estero.
Nel periodo 2001-2012 i soggiornanti marocchini in Italia sono aumentati di 346.040 unità. Il Marocco è stato preceduto solo dalla Romania (aumento di circa 1 milione) e quasi uguagliato dall’Albania (differenza di poche migliaia). Nello stesso periodo sono emigrati dall’Italia circa 10mila marocchina e 30mila sono stati quelli cancellati per irreperibilità. Bisogna anche tener conto, come si vedrà, dei numerosi permessi si soggiorno scaduti e non più rinnovati.
Questa storia più quarantennale ha accompagnato l’evolversi del fenomeno migratorio in Italia. I primi arrivati, sono stati manovali nell’industria e nei campi o, a prescindere dal lavoro svolto in precedenza, venditori ambulanti; quindi sono seguiti i lavoratori in provenienza anche dalle città e infine le mogli e i figli, dando vita a un insediamento stabile e in continuo aumento.
I marocchini, con 513.374 soggiornanti (aumentati alla fine del 2012 dell’1,4%), sono la prima comunità tra gli immigrati, sia africani (1 milione 152mila) sia non comunitari (3 milioni 764 mila) e incidono per quasi il 10% sulla presenza straniera totale, stimata nel Dossier Statistico Immigrazione 2013 UNAR-IDOS pari a 5 milioni e 186mila. Più dei due terzi dei marocchini si trovano in Veneto, Piemonte, Emilia Romagna e Lombardia (questa regione detiene un quarto delle presenze). Le province con il maggior numero di marocchini (oltre 30mila) sono Torino e Milano, diverse altre province, tutte nel Nord, ne contano 20mila (Bergamo, Brescia e Modena) o 10mila (Verona, Bologna, Treviso, Padova, Cuneo e Varese), mentre Roma si ferma a quota 9mila e, nel Sud, Salerno e Napoli raggiungono, rispettivamente, 6mila e 4mila soggiornanti. Alcune aree di partenza hanno privilegiato l’Italia come destinazione e, ad esempio, la cittadina marocchina di Fqih Ben Salah (60mila abitanti) è stata denominata “la pétite Milano” per la sua consistente presenza meneghina. Non sono mancati i flussi irregolari, di gran lunga superiori alle quote annuali attribuite al Marocco (appena 4.500 unità) negli ultimi decreti flussi, come si rileva dalle domande riguardanti i marocchini nelle diverse regolarizzazioni: 21mila nel 1986, 53mila nel 1990. 35mila nel 1995, 28mila nel 1998, 55mila nel 2002, 36mila nel 2009, 17mila nel 2012, per un totale di 228mila unità.
Altre presenze irregolari sono emerse, seppure parzialmente, in occasione delle quote annuali stabilite nei decreti flussi: nel 2006 sono state presentate 50mila domande di assunzione di marocchini e nel 2007 le domande sono state 125mila. Non bisogna poi dimenticare le migliaia di marocchini morti nel tentativo di attraversare il Mediterraneo (cfr. il volume IPRIT. Immigrazione Percorsi di Regolarità in Italia, Prospettiva di collaborazione italo-marocchina, Guida del Ministero dell’Interno, Dipartimento Centrale Politiche dell’Immigrazione e dell’Asilo, a cura del Centro Studi e Ricerche IDOS, Roma, Ottobre 2013).
Nello scenario attuale ai flussi in arrivo si aggiungono i ritorni. Vi sono quelli riguardanti gli irregolari raggiunti da un provvedimento di espulsione (4.206 intimazioni di lasciare il paese e 1.446 provvedimenti effettivamente eseguiti) e quelli riguardanti i lavoratori che, perso il posto di lavoro, non ne trovano un altro nel termine di 12 mesi (prima i mesi a disposizione erano solo 6).
Nel 2011 sono stati 28.502 i permessi di soggiorno non rinnovati a cittadini marocchini (su un totale di 263mila) e nel 2012 19.854 (su un totale di 180mila). In qualche dibattito questa normativa è stata paragonata a un efficace ammortizzatore sociale a favore degli italiani, perché riduce al minimo il sostegno dello Stato a favore degli immigrati colpiti dalla disoccupazione.
I marocchini sono andati affermandosi come una comunità dedita al lavoro, versata nel commercio, dalla spiccata dimensione familiare e fortemente stabile (oltre il 64,1% è titolare di permesso come lungosoggiornante, sopravanzando di 10 punti la media dei non comunitari).
I visti per motivi familiari in ciascuno degli anni 2000 sono stati superiori alle 10mila unità (addirittura 24.864 nel 2007); sotto l’impatto della crisi, sono scesi a 8.853 nel 2011 e a 6.023 nel 2012. In tutti questi anni (salvo nel 2005 e nel 2007) il Marocco è stato il primo paese per numero di visti per ricongiungimento familiare. Le donne incidono, attualmente, per il 43,7% sulla presenza totale. Il tasso di natalità è elevato e i nuovi nati nel 2011 sono stati 14.622, di cui 12.608 da entrambi i genitori marocchini. L’incidenza dei minori (150.023, di cui 655 non accompagnati) è tra le più elevate (30,8%). In ragione di queste caratteristiche familiari, i marocchini hanno inciso per oltre un decimo sull’indennità di maternità e per oltre un sesto sugli assegni per il nucleo familiari e sui congedi parentali. Inoltre, la preoccupazione per far inserire al meglio i loro nuclei induce i marocchini a essere meno predisposti alla mobilità territoriale e a contenere l’invio delle rimesse, che comunque continuano a essere di notevole entità (242 milioni di euro nel 2012, mentre raggiunsero i 339 milioni di euro nel 2007).
I matrimoni misti nel periodo 1992-2011 sono stati 350mila, oltre il 10% di quelli celebrati in Italia, e circa 25mila hanno riguardato cittadini marocchini. I matrimoni, nel passato, hanno costituito anche per i marocchini la via prioritaria d’accesso alla cittadinanza, ruolo svolto ormai in prevalenza dalle naturalizzazioni da parte di chi ha maturato almeno 10 anni di residenza: nel 2009, ad esempio, per i marocchini i casi di cittadinanza a seguito di matrimonio sono stati 2.866 e quelli a seguito di naturalizzazione 8.714.
La forza lavoro marocchina è costituita da circa 300mila persone, di cui 151mila gli occupati (o di più se si tiene conto dei soggiornanti non ancora registrati come residenti). I settori di inserimento sono: 5,9% agricoltura, 52,7% servizi (con netta prevalenza di quelli commerciali) e 41,4% industria. La crisi ha ristretto le possibilità d’ingresso e da 36mila visti per lavoro rilasciati nel 2007, immediatamente prima dello scoppio della crisi, si è scesi ai 9.842 nel 2012, anno in cui il saldo tra assunzioni e cessazioni del rapporti è stato negativo. Questa comunità incide nella misura del 18,4% sul lavoro stagionale con 1.826 lavoratori e per meno del 10% sugli oltre 2 milioni di lavoratori dipendenti. Inserito come lavoratori qualificati solo l’1,5% dei lavoratori marocchini (la media tra tutti gli stranieri è del 5,9%), mentre i non qualificati sono il 40,6% (contro una media del 34,6%). Rilevante è anche il loro coinvolgimento nella disoccupazione, specialmente nel caso delle donne (tasso del 35,8%). Il loro livello di istruzione è più basso rispetto alla media dei lavoratori e solo il 26,7% ha conseguito il diploma o la laurea e ciò aiuta a capire perché vengono chiamati a svolgere mansioni più umili e faticose e meno retribuite.
Mentre l’81,6% dei marocchini è occupato come dipendente, il 18,44% lo è in forma autonoma. Questa comunità sta dimostrando un particolare dinamismo imprenditoriale, così che nel 2012 marocchini titolari di impresa individuale hanno inciso per un sesto sull’insieme delle imprese di questo tipo intestate a cittadini stranieri (38.203 su 232.668), con prevalenza di quelle operanti nel commercio al minuto (27mila) e nelle costruzioni (quasi 6mila).
Nell’ultimo decennio in Italia sono state praticate diverse restrizioni per quanto riguarda l’accesso degli immigrati non comunitari a diverse prestazioni socio-previdenziali, nell’intento di evitare un eccessivo aggravio allo Stato e agli enti Locali. In realtà, gli immigrati accedono in misura molto limitata alle pensioni contributive a carico dell’INPS: per i marocchini si tratta di poco più di 2mila casi, anche perché ad aver superato i 60 anni sono appena 26.122 persone (appena 5,1% di quella comunità, quattro volte di meno rispetto agli italiani) e tra l’altro, il limitato accesso alle pensioni contributive è destinato a protrarsi e nel 2025, secondo le previsioni formulate in uno studio del 2011 dell’INPS e di IDOS, sarà 1 pensionato ogni 3,5 tra gli italiani e appena 1 ogni 12,5 tra gli immigrati. Contenuto è anche l’accesso dei marocchini alle prestazioni assistenziali (circa 6.500 casi). Diverse chiusure agli immigrati non comunitari sono state superate a seguito degli interventi della giurisprudenza (di merito, della Corte di Cassazione, della Corte Costituzionale e
della stessa Corte di Giustizia europea), in quanto non rispondente al dettato della Costituzione in materia di assistenza e al principio di parità di trattamento sancito nelle convenzioni internazionali sui lavoratori migranti ratificate dall’Italia, incluso l’Accordo euro-mediterraneo tra il Marocco e l’UE. Invece, non sembra destinato a sbloccarsi lo stallo nella ratifica dell’accordo di sicurezza sociale tra l’Italia e il Marocco, firmato nel 1994, che da una parte comporterebbe oneri finanziari molto alti per l’Italia e, dall’altra, non consente la totalizzazione delle carriere assicurative proprio quando il requisito contributivo è stato portato a 20 anni.
Sul tema dell’immigrazione marocchina, non contano solo i bilanci demografico e occupazionali. Il bilancio culturale può lasciare soddisfatti solo per la frequenza scolastica
(98.106 ragazzi e giovani marocchini iscritti alle scuole italiane nell’a.s. 2012-2013) ma non per la frequenza universitaria. I permessi di soggiorno per motivi di studio sono stati appena 1.033 nel 2012; i laureati marocchini nell’anno accademico 2010-2011 sono stati 134 su un totale di 7.154 (incidenza che sfiora il 2%), e nell’anno accademico 2011-2012 gli immatricolati all’università sono stati 458 (che collocano il Marocco al 5° posto tra i non comunitari) e quelli iscritti complessivamente 1.831.
Si pongono delicate implicazioni sul piano socio-culturale e religioso, a partire dai luoghi di culto, generalmente condivisi con musulmani di altri paesi, come avviene in particolare nella grande moschea di Roma (dove opera il Centro Culturale Islamico d’Italia, di cui è segretario generale un marocchino) ma anche nelle altre 25 moschee dell’area romana (cfr. Caritas e Migrantes di Roma, Immigrati a Roma. Luoghi di incontro e di preghiera, Roma, gennaio 2014).
L’associazionismo marocchino ha sottolineato l’esigenza di favorire la costruzione di nuovi edifici o un soddisfacente adattamento di quelli esistenti per assicurare una dignitosa espressione rituale
della loro religiosità, e questa esigenza è stata recepita anche nella Guida Religioni, dialogo e integrazione, curata nel 2013 per il Ministero dell’Interno, Direzione Centrale dei culti da Com-Nuovi Tempi e IDOS.
Le seconde generazioni, il volto nuovo e poco conosciuto dei giovani marocchini, è stato analizzato in un’indagine dall’associazione Genemaghrebina. Il loro desiderio è quello di integrarsi nella cultura italiana senza perdere quella propria, con una doppia appartenenza in grado di conservare il passato e aprirsi al nuovo, senza far pesare in maniera disfunzionante, specialmente sulle ragazze, i simboli e le tradizioni.
Ancora oggi i marocchini continuano a essere vittime di comportamenti razzisti e discriminatori, come si evidenzia dalle segnalazioni che annualmente pervengono all’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali. Unendo la riflessione storica alla psicologia sociale si constata che una comunità di immigrati, quando assume una chiara visibilità, è maggiormente soggetta a pregiudizi. Questa è stata, a turno, la sorte toccata alle principali comunità straniere. Il primo bersaglio sono stati i marocchini, maggiormente in vista già a cavallo tra gli anni ’80 e gli anni ’90. Per loro è stato coniato il termine “vu’ cumprà” (tra il paternalistico e la disistima) e l’aggettivo “marocchino” è stato utilizzato in senso di disprezzo, tanto che è dovuta intervenire ripetutamente la Corte di Cassazione con una netta censura. Successivamente, a fungere da capro espiatorio, sono state la comunità degli albanesi (quasi di uguale peso numerico) e quella dei romeni (molto più numerosa e protetta, peraltro, dal diritto comunitario). In tutt’e tre i casi gli addebiti mossi nei confronti di queste comunità sono andati oltre i rilievi effettivi, come può dimostrare una serena riflessione sui dati statistici.
Nel caso della comunità marocchina uno dei problemi, da tempo conosciuto, è quello delle denunce penali (specialmente per il traffico e lo spaccio di stupefacenti). Tuttavia, bisogna registrare nel 2011 un cambiamento meritevole di approfondimento, perché le denunce penali presentate contro cittadini stranieri sono state 617.706 e quelle contro cittadini marocchini 36.468, per cui la loro incidenza è scesa al 5,9% (mentre costituiscono quasi un decimo dell’intera presenza straniera). Un altro aspetto da prendere in considerazione, peraltro senza le attenuazioni prima richiamate, è la presenza in carcere: tra i 23.436 detenuti stranieri detenuti al 31 marzo 2013 i 4.463 marocchini sono stati la prima nazionalità, con una incidenza del 19,0%.
Tutto lascia intendere che la comunità marocchina aumenterà nei prossimi anni. Per elaborare una previsione realistica bisogna tenere conto dei permessi che arriveranno a scadenza senza poter essere rinnovati, fin quando continuerà la crisi occupazionale. Tuttavia, sia nel 2011 che nel 2012, nonostante le difficoltà economiche e occupazionali, i nuovi ingressi per lavoro e per ricongiungimento familiare dal Marocco sono continuati, seppure in misura ridimensionata.
In un contesto simile, seppure scarsamente soddisfacente e privo di linearità, i ricongiungimenti familiari, difficilmente scenderanno al di sotto dei 7mila riscontrati nel 2012, perché molti giovani lavoratori marocchini stabilitisi in Italia vorranno ricongiungersi con la moglie e i figli o vorranno far venire la fidanzata per sposarsi.
Nello stesso periodo, gli ingressi dal Marocco per lavoro (quelli maggiormente soggetti all’andamento congiunturale), potranno per qualche anno scendere al livello minimo di 6/7mila l’anno, salvo restando un loro aumento nella fase di ripresa. E così, ipotizzando inizialmente almeno 14.000 nuovi arrivi dal Marocco e almeno 12mila nuovi nati in Italia da entrambi i genitori
marocchini e successivamente arrivando a un incremento medio di 30mila/32mila persone, si può stimare che nel 2020 la comunità marocchina sarà composta da circa 800mila persone.
La tesi di questo libro, recepita nel titolo, è che il fenomeno migratorio può anche favorire lo scambio tra il Marocco e l’Italia, facendo degli immigrati un ponte sul Mediterraneo. Il rapporto è attualmente disuguale. I cittadini italiani residenti in Marocco sono stati solo 4.434 al 31 dicembre 2012, a fronte di una collettività italiana all’estero di 4.341.156 e di una cospicua presenza marocchina in Italia. Nel futuro gli immigrati potranno essere efficaci mediatori di scambi più intensi, nella consapevolezza che una maggior simbiosi tra i due paesi riveste apprezzabili implicazioni sociali, religiose e anche commerciali e industriali. Il volume allude, in chiusura, agli aspetti positivi che potrebbero derivare da un più efficace collegamento tra le due sponde, tenuto conto che la strategia del cauto riformismo sta riservando al Marocco un futuro promettente. Alcuni progetti, dei quali si parla nel testo, vanno già in questo senso ma non è che l’inizio. Se questo intreccio di comuni interessi diventerà maggiormente operativo, molto sarà dovuto agli immigrati che così spesso hanno fatto la spola tra i due paesi.

Per informazioni Centro Studi e Ricerche IDOS/Immigrazione Dossier Statistico
Via Arrigo Davila 16, 00179 Roma (Metro A: Fermata Colli Albani)

Tel. 06.66514345 – E-mail: idos@dossierimmigrazione.it
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